Oral Cancer day: parola allo specialista

Come anticipato nel nostro precedente articolo, ecco un’intervista di approfondimento con uno specialista del settore, il dottor Marco Rossi.
Il dott. Rossi è Medico Chirurgo, specialista in chirurgia Maxillofacciale e opera presso il reparto di Chirurgia Maxillo-Facciale dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso diretto dal dott. Luca Guarda Nardini, che è anche Direttore Centro Regionale Disfunzioni Articolazione Temporomandibolare con cui ANDI Treviso collabora da tempo.

Dott.Michele Caruso
Presidente ANDI Treviso

Dott.ssa Sonia Polesel
Commissione Andi per il sociale

 

” Dott. Rossi, parliamo del carcinoma del cavo orale: innanzitutto che cos’è e come si manifesta?”

“Il carcinoma del cavo orale è una neoplasia maligna che origina dalle cellule dell’epitelio di rivestimento della mucosa delle labbra e della bocca.
Le sedi più colpite sono la lingua, il pavimento orale e la gengiva.
In Italia rappresenta il 5% dei tumori nell’uomo e l’1% nella donna, ma la sua incidenza complessiva è in aumento, così come il tasso di mortalità. L’incidenza è molto bassa nei giovani sotto i 40 anni (anche se in questi rari casi la malattia ha un comportamento nettamente più aggressivo) e raggiunge il picco intorno ai 70 anni. L’età media alla diagnosi è di 64 anni.
Nel mondo i tumori del cavo orale, insieme a quelli di faringe e laringe, rappresentano il 10% di tutti i tumori maligni negli uomini e il 4% nelle donne. In media sono colpite 3 persone ogni 100.000 abitanti/anno. Il nord Italia ha tassi di incidenza maggiori rispetto al sud, con un triste primato del Veneto, dove si assesta a quasi il triplo rispetto alla media nazionale.
Ogni anno (fonte AIRC) vengono diagnosticati circa 4500 nuovi casi di tumore del cavo orale e si registrano circa 3000 decessi. La diagnosi infatti è di solito tardiva e, nonostante trattamenti mutilanti e rischiosi, i risultati sono spesso deludenti. La prognosi globale di questa malattia non è migliorata molto nel corso degli ultimi decenni, passando da una sopravvivenza media a 5 anni del 60% negli anni 70-80 ad una del 70% ai giorni nostri.
Negli stadi iniziali tuttavia questi tumori hanno ottime possibilità di essere curati con successo, con sopravvivenze a 5 anni superiori all’85-90%. È pertanto fondamentale giungere ad una diagnosi già nelle forme iniziali, al fine di garantire le più alte possibilità di guarigione.

 

Per quale motivo la prognosi di questo tipo di tumore è migliorata così poco negli ultimi anni?

Purtroppo nel caso dei tumori del cavo orale la diagnosi è ancora molto spesso tardiva, fatto che è imputabile anche ad un basso livello socioculturale dei soggetti che sono maggiormente a rischio, i quali minimizzano i sintomi ed hanno una scarsa propensione a fare visite di controllo.
Inoltre vi è in generale una scarsa sensibilizzazione nella popolazione rispetto a questo tipo di neoplasia che non è molto frequente e non esistono campagne di screening massivo organizzate ad hoc, come ad esempio avviene per altre forme tumorali, basti pensare alle campagne di prevenzione del carcinoma mammario, del tumore del colon retto o del tumore del collo dell’utero.
Mancano inoltre markers tumorali circolanti utilizzabili per lo screening ed il follow up delle neoplasie testa-collo.
Le lesioni poi, in fase iniziale, non danno sintomatologia e quindi restano spesso misconosciute portando il paziente all’osservazione del clinico quando hanno ormai raggiunto un certo grado di invasività, in un distretto vastamente irrorato e in prossimità di molte strutture anatomiche differenti.

 

Quindi la diagnosi precoce è un elemento fondamentale per l’aspettativa di vita di un paziente che manifesti un tumore del cavo orale: a quale segni dobbiamo prestare maggiormente attenzione quando ci approcciamo alla visita di un paziente?

Sappiamo che, nella sua fase iniziale, il tumore del cavo orale si presenta frequentemente attraverso lesioni che generalmente non creano disturbi o sintomi particolari al paziente. Queste lesioni, identificabili come macchie, placche, erosioni, ulcere o vere e proprie  “vegetazioni” (passatemi il termine), spesso vengono sottovalutate in primis dai pazienti stessi che le imputano a fattori “infiammatori” generici.
Il Collega che ha in carico il paziente deve sempre  inviare il paziente in un Centro Specializzato nel caso in cui presenti una lesione orale che non regredisce nell’arco di 15 giorni, nonostante la terapia o la rimozione dei fattori irritativi locali.
La biopsia fornirà poi una precisa diagnosi istologica.
Quindi, lo screening odontoiatrico, specialmente nei pazienti oltre i 60 anni che abbiano fattori di rischio (che vedremo in seguito), è fortemente raccomandato con cadenza annuale.

 

Abbiamo visto che il carcinoma del cavo orale colpisce prevalentemente gli uomini al di sopra dei 50 anni; quali sono i fattori di rischio per il carcinoma del cavo orale?

Il fumo e l’abuso di alcol sono i principali  fattori di rischio del carcinoma orale: nel 75% dei casi, infatti, vi è associazione fra la sua insorgenza e l’uso di queste sostanze. Quando combinate, l’azione sinergica di questi potenzia il rischio in modo esponenziale.
Sono inoltre descritti altri fattori di rischio, per così dire, “secondari”, quali l’esposizione ai raggi del sole (nel carcinoma del labbro), la dentatura in condizioni igieniche scadenti, le protesi incongrue o le corone taglienti, la dieta speziata e, in altri paesi, il consumo di Betel (in India per questa abitudine il carcinoma orale è endemico ed è il primo tumore nella popolazione).
L’infezione da HPV, in particolare il sierotipo 16, è coinvolta nella genesi del carcinoma dell’orofaringe e ad oggi non vi sono dati che possano dimostrare un aumento di incidenza di carcinoma del cavo orale in caso di infezione da HPV. Resta comunque una grossa preoccupazione per la stima degli aumenti di incidenza di carcinoma orofaringeo nella popolazione giovane. Questo a seguito dell’aumento della promiscuità sessuale, anche nei giovanissimi.
Le cosiddette condizioni precancerose (quali il lichen, la leucoplachia proliferativa verrucosa, l’iperplasia pseudoepiteliomatosa) possono aumentare il rischio di sviluppo di cancro nel corso degli anni, soprattutto quando in associazione ai fattori di rischio summenzionati. È pertanto mandatorio che in questi pazienti si attuino programmi per abbandonare fumo ed alcol e che vengano seguiti semestralmente dal clinico.
Infine ricordo anche che una dieta povera di frutta e verdura, che determini carenze vitaminiche , è sicuramente un nemico per la salute del cavo orale.  Fondamentale infatti è il ruolo delle vitamine antiossidanti A, C ed E, contenute nella verdura e nella frutta di colore rosso, giallo e verde, in grado di eliminare radicali liberi dalle cellule danneggiate. Un adeguato supporto di nutrienti variati, appartenenti alla cosiddetta dieta mediterranea, oltre che un corretto assorbimento di ferro, vitamina B12 e acido folico rappresentano fattori di estrema importanza nella prevenzione di questa forma tumorale.

 

Alcuni fattori di rischio sono quindi di origine ambientale, nella sua esperienza esiste anche una predisposizione “geografica”? Qual è l’andamento epidemiologico nella nostra provincia/in Veneto/nordest?

Secondo il Registro Tumori del Veneto, nel 2016 in Italia si sono stimati 9500 nuovi casi di tumore della testa e del collo; di questi 1200 solo in Veneto.
Nel periodo 2010-2013 si sono verificati 430 decessi l’anno in Veneto per queste neoplasie, di cui il 30% per ca. della laringe.
Il triste primato del Veneto è sicuramente legato al forte consumo di fumo ed alcol. Sembra comunque che il trend stia diminuendo nel corso degli ultimi 5 anni.

 

L’anno appena trascorso, con la pandemia da COVID-19, ha inevitabilmente creato una serie di difficoltà nell’accesso alle visite ed alle cure “ordinarie”, allungando le liste di attesa: nella vostra pratica quotidiana avete notato se questo ha influito negativamente sulla diagnosi di carcinoma del cavo orale?

È difficile dare una risposta esauriente, in quanto si lavora con “ciò che arriva” e non si riesce ad avere un’idea di quello che accade fuori dall’ospedale.
Durante l’anno in corso, il numero degli accessi alla struttura sanitaria si è sicuramente ridotto, sia per la sospensione delle attività non urgenti da parte delle ULSS che anche per il minor ricorso alla struttura da parte dell’utenza; quest’ultimo fenomeno è probabilmente correlato alla paura di contrarre l’infezione da COVID. È ipotizzabile comunque che, come si è assistito l’anno scorso ad un aumento della mortalità per patologie non infettive (ricordiamo l’aumento delle morti per patologia cardiaca acuta per mancato accesso agli ospedali), vi siano stati pazienti rimasti “nascosti” per motivazioni analoghe.

 

E’ possibile prevenire il tumore del cavo orale? Come?

La prevenzione del carcinoma del cavo orale si basa su due cardini a mio giudizio fondamentali: la rimozione dei fattori di rischio e la sorveglianza nei pazienti affetti da precancerosi.
Sensibilizzare il paziente e portarlo a smettere di fumare e di bere può non essere sempre semplice; secondo il mio parere è necessaria una stretta collaborazione fra il dentista, il medico di medicina generale e lo specialista ospedaliero nel raggiungimento di questo obiettivo. Anche il ricorso a strutture specializzate nel trattamento delle dipendenze può essere una valida strategia.
Le visite periodiche presso il proprio Odontoiatra sono fondamentali sia nell’intercettare precocemente tutte quelle lesioni che, se trascurate, possono nel corso del tempo trasformarsi che nella diagnosi precoce delle forme iniziali di tumore, al fine di un invio tempestivo presso la struttura di riferimento.
Rivolgo anche un consiglio ai Colleghi Dentisti, nel cercare di far capire al paziente, senza comunque spaventarlo, che è importante un intervento rapido ed efficace enfatizzando che comunque nelle forme iniziali la possibilità di guarire è altissima.

 

Abbiamo capito che il fattore tempo è fondamentale per la sopravvivenza dei pazienti con carcinoma del cavo orale: ma come deve comportarsi un collega che si trovi davanti ad un caso sospetto? Quali sono i centri di riferimento per il Veneto/provincia di Treviso? 

Il consiglio è quello di valutare il paziente, fare una accurata anamnesi ed inviarlo al più presto presso la struttura ospedaliera della ULSS di riferimento, in particolare agli Ambulatori di Chirurgia Maxillofacciale, ove potrà essere preso in carico ed intraprendere il percorso diagnostico-terapeutico più idoneo alla propria condizione.
Come dicevamo prima, ogni lesione che non regredisca nell’arco di 15 giorni dalla rimozione dei fattori irritativi, va sottoposta ad accertamento istologico attraverso biopsia.
I pazienti possono essere inviati presso la struttura ospedaliera con impegnativa del MMG, indicando una priorità di tipo B (che garantisce la visita entro 10 giorni), oppure al professionista di riferimento attraverso il canale della libera professione.
Il Collega Odontoiatra può anche effettuare da sé la biopsia, se adeguatamente attrezzato, ed inviare poi il paziente presso l’ambulatorio specialistico con la diagnosi istologica già effettuata.
Personalmente tuttavia ritengo di sconsigliare tal pratica, in quanto preferisco valutare il paziente prima di qualsiasi manovra invasiva, anche in previsione della prescrizione di eventuali esami di imaging. A tal proposito è utile ricordare che la nuova stadiazione TNM dei tumori di testa e collo modificato nel 2017 (UICC/AJCC 8a Edizione) ha introdotto, nella categorizzazione del parametro T, il concetto di profondità di invasione (Depht Of Invasion), come criterio di valutazione prognostica. La profondità viene valutata in superficiale (<5 mm), media (5–10 mm) e profonda (>10 mm). Ogni 5 mm di profondità aumenta il grado di categorizzazione T di un livello (fino a 10 o più mm di profondità). Quindi per una diagnosi accurata è importante condurre gli esami strumentali prima di eseguire qualsiasi manovra che possa andare ad alterare la condizione iniziale.

Inoltre prediligo modalità bioptiche “poco invasive” che consentano, quando possibile, anestesia di superficie, con spray alla lidocaina, e prelievi con “pinza da presa”, evitando in tal modo iniezioni, uso di bisturi e soprattutto la sutura, per il rischio (teorico) di insemenzamento di cellule neoplastiche in profondità. Infine, il contatto continuo con il Collega Patologo consente risposte rapide e precise evitando perdite di tempo o interpretazioni fuorviate dall’assenza del dato clinico.

 

Leggi il Curriculum Vitae del dott. Rossi.